1. Il significato e le cause del presidio dei precari universitari
Il 3 giugno 2025 Montecitorio è stato teatro di una delle più significative mobilitazioni del settore universitario degli ultimi anni, con centinaia di ricercatori e ricercatrici precari scesi in piazza in coincidenza con il dibattito parlamentare sull’emendamento Occhiuto-Cattaneo. Questa protesta riflette una crisi strutturale che attraversa il sistema universitario italiano, dove la precarietà lavorativa riguarda ormai la maggioranza dei giovani ricercatori: oltre il 70% dei contratti è a tempo determinato e la prospettiva di stabilità rimane distante, costringendo molti alla fuga verso l’estero. La mobilitazione, sostenuta anche da sindacati e associazioni di categoria, mira a denunciare l’insostenibilità di queste condizioni e la marginalizzazione delle esigenze dei lavoratori precari nella discussione politica. Attraverso il presidio a Montecitorio, i protagonisti hanno voluto portare la loro voce direttamente nelle sedi istituzionali, chiedendo interventi concreti e riforme strutturali in grado di restituire dignità, stabilità e possibilità progettuale a una generazione di studiosi fortemente penalizzata dalle attuali dinamiche di reclutamento e finanziamento della ricerca pubblica.
2. Le criticità normative, le testimonianze e il confronto europeo
Al centro dell’attenzione durante la protesta si è collocato il discusso emendamento Occhiuto-Cattaneo, percepito dai manifestanti come una minaccia ulteriore ai già ristretti margini di accesso e permanenza nella carriera accademica: nuove regole ancora più selettive per i rinnovi dei contratti temporanei rischiano di espellere proprio coloro che hanno anni di esperienza e dedizione. La realtà drammatica dei precari viene alimentata anche dai numeri: circa 25.000 ricercatori senza prospettive di stabilizzazione e una fuga di cervelli stimata in oltre 10.000 giovani ogni anno. Nel corso del presidio le testimonianze dirette hanno messo in luce come la precarietà non sia solo economica, ma anche esistenziale: l’impossibilità di accedere a un mutuo, di pianificare una famiglia o semplicemente di condurre una vita stabile. Mentre dai parlamentari di opposizione è arrivato un sostegno simbolico ma privo di immediate ricadute legislative, dal governo le aperture sono risultate ancora più vaghe. A confronto, le condizioni offerte agli accademici in paesi come Germania, Francia o Regno Unito – dove esistono percorsi trasparenti e possibilità concrete di stabilizzazione – mostrano la distanza del modello italiano dai più virtuosi standard europei.
3. Strategie e prospettive per una università più equa e sostenibile
Alla luce di queste problematiche, il movimento dei precari universitari chiede una profonda riforma del sistema. Le richieste spaziano dal ripensamento dei criteri di reclutamento, per restituire trasparenza e meritocrazia, alla realizzazione di veri piani nazionali di stabilizzazione, passando per l’aumento degli investimenti pubblici sulla ricerca e l’estensione delle tutele (maternità, malattia, previdenza) anche ai collaboratori atipici. Sindacati e associazioni di categoria stanno giocando un ruolo cruciale nel tentativo di strutturare una rappresentanza nazionale e nell’elaborazione di piattaforme rivendicative condivise. Al centro del dibattito resta la consapevolezza che università e ricerca sono motori di innovazione e coesione sociale; il rischio, in assenza di risposte politiche all’altezza, è di depauperare il futuro del paese privandolo dei suoi migliori talenti. L’appello dei precari a Montecitorio, quindi, non è solo la richiesta di singoli diritti, ma l’esigenza di ripensare il rapporto tra istituzioni e ricerca e di rilanciare l’università italiana come luogo di inclusione, stabilità e crescita collettiva.