
Il Vaticano protagonista nei negoziati di pace tra Russia e Ucraina: perché la Chiesa di Leone XIV può mediare e quella di Kirill no
La guerra in Ucraina ha ridefinito il ruolo delle istituzioni religiose nella diplomazia internazionale e ha portato il Vaticano a divenire protagonista nei negoziati di pace tra Russia e Ucraina. Con Papa Leone XIV, la Chiesa cattolica non si è limitata a offrire supporto spirituale, ma ha assunto un ruolo attivo e diplomatico. Questa transizione segna una continuità e, allo stesso tempo, un potenziamento del percorso tracciato da Papa Francesco, che aveva già dato impulso a iniziative di dialogo tra le parti. Il Vaticano, avvalendosi della sua posizione di "Chiesa universale" svincolata da interessi nazionali, si è affermato come interlocutore credibile e imparziale, in grado di ottenere fiducia sia da Kiev che da Mosca. L’azione concreta del cardinale Zuppi, in particolare nel facilitare il ritorno di bambini separati e prigionieri di guerra, ha consolidato la percezione di efficienza ed efficacia della mediazione vaticana. In parallelo, la Chiesa ortodossa russa guidata da Kirill si è rivelata poco convincente come soggetto negoziale, soffrendo di una forte identificazione con le strategie politiche del Cremlino e di divisioni interne nel mondo ortodosso, che hanno compromesso la sua legittimità internazionale.
La forza del Vaticano nella diplomazia internazionale risiede nella sua universalità: la Santa Sede si presenta come soggetto svincolato da confini politici, ponendosi come mediatore super partes in scenari di profonda complessità. Sebbene esistano ostacoli come la diffidenza delle parti, la concorrenza di altri attori internazionali e il rischio di strumentalizzazione, la Chiesa cattolica riesce a proporre canali di dialogo dove la politica spesso si arena. Il contributo di figure come il Segretario di Stato Parolin, che ha rilanciato la funzione vaticana come ‘ponte’ tra Est e Ovest, e l’azione combinata con incaricati speciali come Zuppi, permettono alla diplomazia vaticana di presentarsi al mondo sia nella sua dimensione umanitaria sia in quella spirituale. La difesa dei più deboli – bambini e prigionieri – è diventata il biglietto da visita di una "mediazione religiosa" che, pur trovandosi davanti a criticità pratiche e geopolitiche, sembra sempre più indispensabile nei conflitti armati.
In definitiva, il modello messo in campo dal Vaticano nella guerra in Ucraina rappresenta oggi una delle poche forme efficaci di mediazione religiosa nei conflitti moderni. La sua capacità di restare al di sopra delle logiche di schieramento politico-militare, di lavorare in modo discreto ma sostanziale e di far seguire alle affermazioni di principio risultati tangibili, conferma la centralità della Chiesa cattolica nei negoziati di pace tra Russia e Ucraina. Il confronto con la Chiesa di Kirill, fortemente compromessa con le strategie del potere politico russo, rafforza ulteriormente l’unicità del Vaticano quale "Chiesa universale" legittimata a proporre soluzioni diplomatiche che tengano insieme interessi spirituali e bisogni umanitari. Il caso ucraino mostra come la diplomazia religiosa vaticana – col suo intreccio di tradizione, autorevolezza morale e concretezza operativa – possa offrire modelli replicabili in altri scenari di guerra del nostro tempo.