
La Crisi in Libia nel 2025: Haftar, il 'Nuovo Assad' di Putin verso Tripoli. Quale Ruolo per l'Italia?
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La crisi libica del 2025 rappresenta una nuova fase di instabilità nel Mediterraneo, a dieci anni dall’accordo politico di Skhirat. Il governo di Dbeibah, caratterizzato da una fragilità strutturale e un controllo territoriale estremamente limitato, affronta una crescente pressione sia interna che esterna. Sul fronte interno, Dbeibah manca del sostegno delle principali fazioni, di un esercito nazionale fedele e della capacità di garantire servizi e sicurezza, il che mina irrimediabilmente la propria legittimità. Esternamente, la sua leadership dipende dal fragile appoggio dei partner internazionali ormai sempre più disillusi, mentre le risorse del paese restano in gran parte fuori dal suo controllo. Questa debolezza istituzionale apre la strada all’ascesa di Khalifa Haftar, il quale sta consolidando la propria posizione come uomo forte della Libia e punto di riferimento chiave per la Russia. Nel frattempo, altri attori globali, come gli Stati Uniti – specie con il ritorno di Trump – e l’Unione Europea osservano l’evoluzione della situazione pronti a ridefinire le proprie strategie alla luce degli sviluppi sul terreno. In questo contesto di crescente frammentazione, l’Italia si trova al crocevia di interessi strategici, energetici e migratori che richiedono una risposta diplomatica articolata e tempestiva.
L’avanzata di Khalifa Haftar ha segnato una svolta decisiva nella crisi libica, presentandolo come il "nuovo Assad" agli occhi di Mosca, che vede nella Libia un asset fondamentale per estendere la propria influenza nel Mediterraneo. Il parallelo tra Haftar e Assad non è puramente retorico: come in Siria, la Russia punta su un forte alleato locale tramite il quale consolidare interessi militari, geopolitici ed economici. Nonostante la presenza sul terreno sia meno visibile che in Siria, le truppe del gruppo Wagner mantengono un ruolo chiave, garantendo a Haftar supporto militare e deterrenza contro i rivali. L’ipotesi di una Libia unificata sotto un controllo autoritario pone, però, un dilemma alla comunità internazionale: da una parte, la possibilità di stabilità rappresenta un’opportunità tanto attesa; dall’altra, il rischio di dipendenza da potenze straniere come la Russia, esclusione delle minoranze e repressione delle opposizioni potrebbe trasformare la Libia in una nuova autarchia regionale. L’influenza determinante degli Stati Uniti, specialmente con un’amministrazione Trump più pragmatica e focalizzata su interessi immediati, orienta ulteriormente i futuri equilibri, lasciando aperta la possibilità che Washington favorisca la realpolitik di un “paciere forte”, se ciò garantisse controllo migratorio ed energetico.
L’Italia si conferma attore nevralgico nello scacchiere libico, dovendo bilanciare esigenze di sicurezza, interessi economici e la pressione crescente della questione migratoria. L’obiettivo principale del governo italiano è evitare che la Libia diventi una piattaforma instabile e incontrollabile per i flussi migratori verso l’Europa. Roma investe in mediazione, dialogando con tutte le parti – inclusi il governo Dbeibah e la Cirenaica di Haftar – e sostenendo iniziative ONU, ma senza rinunciare a un coinvolgimento diretto quando serve. Sono stati intensificati i rapporti bilaterali per rafforzare la guardia costiera libica, promuovere accordi di cooperazione sulle frontiere e supportare programmi di rimpatrio. La crescente presenza russa complica il quadro, ma rafforza anche la necessità di una strategia europea più coesa, in cui l’Italia si propone come ponte tra le diverse anime del conflitto. La soluzione, tuttavia, resta fragile: senza una Libia stabile e unificata, qualsiasi piano rischia di essere temporaneo, con la possibilità costante di nuove crisi e ondate migratorie verso le coste italiane ed europee.
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