L’evoluzione della pensione di vecchiaia in Italia: trent’anni di riforme e cambiamenti dal 1992 a oggi
Il sistema pensionistico italiano ha subito cambiamenti profondi negli ultimi trent'anni, in risposta all'invecchiamento della popolazione e alle necessità di sostenibilità finanziaria. Fino agli anni '90, la pensione di vecchiaia era concessa a condizioni più favorevoli, con età pensionabili tra 55 e 60 anni e calcolo retributivo dell'assegno. Tuttavia, l'aumento dell’aspettativa di vita e la pressione finanziaria hanno reso necessario un ampio processo riformatore. Tra il 1992 e il 2011, quattro riforme principali — Amato, Dini, Maroni e Fornero — hanno progressivamente introdotto il sistema contributivo, innalzato i requisiti pensionistici e adattato le regole di calcolo per garantire equilibrio e equità. L’adeguamento automatico dei requisiti in funzione dell’aspettativa di vita, introdotto nel 2013, ha comportato continui aumenti dell’età pensionabile, evidenziando la tensione tra sostenibilità e diritti dei lavoratori. In particolare, la Riforma Fornero del 2011 ha imposto un innalzamento significativo dell’età pensionabile, uniformando anche gli standard tra generi. Nel sistema attuale, l'età pensionabile si aggira intorno ai 67 anni, con ulteriori adeguamenti previsti per il 2025 in base ai dati ISTAT. Questi cambiamenti hanno impattato diversamente le generazioni: chi è andato in pensione prima del 2000 ha beneficiato di regole più favorevoli, mentre oggi vi sono requisiti più rigidi e un legame più stretto tra contributi versati e assegno. Le prospettive future contemplano una possibile maggiore flessibilità e personalizzazione dei percorsi pensionistici, in un contesto dove demografia, economia e innovazione influenzeranno le scelte politiche. Per affrontare consapevolmente tali sfide, è essenziale una pianificazione previdenziale attenta e aggiornata.