Israele introduce la pena di morte: approvata in prima lettura dalla Knesset una legge che divide il Paese
L'approvazione in prima lettura da parte della Knesset della legge che reintroduce la pena di morte in Israele per omicidi commessi contro il popolo ebraico ha suscitato forti divisioni e un acceso dibattito politico e sociale. Il provvedimento, sostenuto soprattutto dalla destra radicale e promosso dal ministro Itamar Ben Gvir, prevede l'applicazione della pena capitale solo in casi di atti terroristici con motivazioni etnico-religiose, principalmente attribuiti a palestinesi. Storicamente, Israele aveva abolito la pena di morte dal 1954, mantenendola solo per crimini nazisti, rendendo questa norma un cambiamento senza precedenti nel panorama giuridico del Paese.
La votazione in Parlamento ha mostrato una partecipazione limitata e un sostegno parziale (36 favorevoli su 120 membri), mentre le opposizioni denunciano una deriva autoritaria e disparità giuridiche. Critiche importanti sono giunte da ONG per i diritti umani e giuristi, che evidenziano come la legge potrebbe accentuare discriminazioni e mettere a rischio principi fondamentali di uguaglianza e giustizia, specie nell'ambito del conflitto israelo-palestinese, aggravando tensioni sociali e minando la coesione democratica del Paese.
Le ripercussioni internazionali potrebbero essere rilevanti, con possibili isolamenti diplomatici e richiami da alleati come Stati Uniti e Unione Europea, contrari alla pena capitale. Il provvedimento deve ancora superare ulteriori passaggi parlamentari, con opposizioni pronte a far valere le proprie ragioni anche in sede giudiziaria. Il futuro della legge rimane incerto e genera un acceso dibattito su come Israele intende bilanciare sicurezza nazionale e tutela dei diritti umani, con implicazioni profonde per la sua democrazia e immagine internazionale.