Consiglio di Stato: Avvalimento e certificazione parità di genere

Consiglio di Stato: Avvalimento e certificazione parità di genere

La recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5345 del 18 giugno 2025, segna un’importante tappa per la disciplina degli appalti pubblici e l’attuazione della parità di genere. Il provvedimento affronta il tema dell’utilizzo dell’avvalimento per dimostrare il possesso della certificazione di parità di genere, requisito premiale introdotto dal D.lgs. 36/2023. Il contesto normativo evidenzia come la certificazione di parità sia concepita per promuovere l’uguaglianza sostanziale tra uomo e donna nei contesti lavorativi e, nello specifico, nelle partecipazioni a gare pubbliche. L’avvalimento, già noto come strumento giuridico che permette a un’impresa di avvalersi dei requisiti di un’altra per partecipare a una gara, viene così esteso anche alla certificazione premiale di parità. La questione nasce dall’incertezza sulla possibilità di utilizzare tale strumento per un requisito innovativo, legato non solo a capacità tecniche ma anche a valori etico-sociali, come l'uguaglianza di genere. L’importanza della decisione risiede proprio nell’aver chiarito che l’obiettivo della normativa sugli appalti è incentivare la più ampia partecipazione tramite strumenti anche flessibili e moderni, come l’avvalimento.

La sentenza n. 5345/2025 interviene risolvendo interpretazioni contrastanti e offre direttive precise sia per gli operatori economici che per le stazioni appaltanti. In particolare, il Consiglio di Stato evidenzia che non vi sono ostacoli per l'utilizzo dell’avvalimento anche ai fini della certificazione di parità di genere, in conformità all’articolo 104 del D.lgs. 36/2023. L’aspetto innovativo del pronunciamento sta proprio nel considerare questa certificazione come un requisito la cui funzione competitiva e premiale può essere valorizzata anche mediante la collaborazione tra imprese. Il Collegio ribadisce che limitare la possibilità di avvalimento sui nuovi requisiti premiali significherebbe vanificare le finalità stesse delle norme recenti, orientate a incentivare le politiche di parità e la più ampia partecipazione. Il collegio sottolinea inoltre che adottare un’interpretazione restrittiva limiterebbe sia la concorrenza che la diffusione delle buone pratiche in materia di uguaglianza di genere, privando così di efficacia le strategie normative adottate dal legislatore.

Le conseguenze pratiche della sentenza sono rilevanti sia per le imprese, in particolare per le PMI, che ora potranno ampliare il ricorso all’avvalimento per partecipare a più bandi, sia per le stazioni appaltanti, che dovranno predisporre documentazione di gara più inclusiva e aggiornata alla nuova interpretazione giurisprudenziale. L’orientamento promosso dal Consiglio di Stato lascia intendere che la certificazione di parità di genere divenuta requisito sempre più centrale nei bandi pubblici, non è solo baluardo di responsabilità sociale ma anche leva di competitività. In tal modo, la sentenza favorisce un’evoluzione del sistema degli appalti pubblici in chiave inclusiva, stimolando le aziende a investire nelle politiche di genere e a strutturarsi per ottenere la certificazione, non solo come adempimento ma come reale opportunità di sviluppo. In sintesi, la decisione non solo promuove una nuova visione della parità di genere nell’ambito degli appalti, ma rafforza anche la cooperazione tra imprese e l’impatto positivo su tutto il tessuto imprenditoriale italiano.

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