
Dispersione scolastica e apprendimento: perché la dimensione delle classi conta davvero
La questione della dispersione scolastica e dei divari negli apprendimenti mette la scuola italiana al centro di un acceso dibattito, particolarmente motivato dalle recenti dichiarazioni del ministro Giuseppe Valditara. Il ministro sostiene che non sia la numerosità delle classi a incidere sensibilmente sui risultati formativi degli studenti, quanto piuttosto la capacità di personalizzare la didattica. Un'affermazione che divide operatori e studiosi: da un lato chi sottolinea le criticità gestionali e inclusive delle classi affollate, soprattutto in contesti socialmente fragili; dall'altro chi pone l’accento sull’innovazione metodologica e la formazione degli insegnanti. Nel contesto italiano, la riduzione significativa della dispersione scolastica – dal 18% al 9,8% negli ultimi quindici anni – è attribuibile a politiche educative mirate, progetti di recupero, formazione, coinvolgimento familiare e innovazione didattica, ma persistono forti divari territoriali e un quadro strutturale caratterizzato da carenze organizzative, risorse limitate e una governance spesso poco flessibile.
Gli studi internazionali, tra cui quelli di OCSE, INVALSI e UNESCO, sottolineano come la dimensione delle classi influisca positivamente sull’apprendimento, la gestione delle criticità e la prevenzione della dispersione. Ridotte proporzioni studente/insegnante consentono maggiore attenzione individuale, precoce individuazione delle difficoltà, supporto a bisogni specifici e migliori pratiche di inclusione, elementi particolarmente rilevanti nei contesti ad alto disagio sociale. Tuttavia, la sola riduzione numerica non basta: servirà abbinarla a strategie didattiche innovative, autonomia e responsabilizzazione delle scuole, nonché più ampie risorse strutturali. In molte realtà europee, le migliori performance si registrano lì dove la dimensione delle classi è contenuta e le scuole usufruiscono di strumenti avanzati di formazione, valutazione e sinergia territoriale, garantendo monitoraggi capillari dei progressi e tempestivo intervento sulle criticità.
Guardando al futuro, la priorità della scuola italiana deve essere una governance rinnovata che sappia integrare personalizzazione dei percorsi e razionalizzazione delle classi. Per colmare definitivamente le debolezze sistemiche – dalla carenza di risorse all'inadeguato coordinamento tra servizi educativi, sociali e sanitari – sarà necessario pianificare investimenti organici e dare più autonomia reale agli istituti. La lotta alla dispersione non potrà prescindere dalla riduzione dei divari regionali, dal rafforzamento del supporto alle famiglie e dall’inclusione attiva delle comunità locali. Solo così la scuola potrà tornare ad essere motore di inclusione e mobilità sociale, assicurando che nessun ragazzo sia lasciato indietro e garantendo vere opportunità di crescita e apprendimento equo per tutti.