Primo paragrafo
L’attivismo digitale di Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, su X (ex Twitter) segna una svolta nella comunicazione politica mediorientale durante la recentissima crisi tra Iran e Israele. In un contesto di crescente tensione regionale, Khamenei ha scelto una piattaforma occidentale — e statunitense — bandita in patria, quale canale prioritario per diffondere messaggi diretti e propagandistici. La sua attività social è una risposta pragmatica a molteplici obiettivi strategici: influenzare l’opinione pubblica internazionale, lanciare avvertimenti e minacce specifiche a Stati Uniti e Israele, legittimare la propria autorità agli occhi dei sostenitori interni (che aggirano la censura via VPN), ma anche dimostrare padronanza delle tecnologie occidentali, proiettando così l’immagine di un leader moderno e globale. I suoi messaggi, in lingua inglese, scelgono il registro della drammatizzazione: toni ostili, accuse esplicite agli Usa come complici, reiterazione di parole chiave come “oppressione sionista” e “giustizia islamica”, in una narrazione destinata a rafforzare la resistenza interna e a delegittimare i nemici. Questa attività è seguita con attenzione da tutti gli attori internazionali, mentre la diffusione virale dei post amplifica la dimensione psicologica dello scontro, spostando la battaglia anche nello spazio digitale.
Secondo paragrafo
La strategia comunicativa di Khamenei porta in sé considerevoli rischi, soprattutto in termini di sicurezza digitale e vulnerabilità della figura stessa. Utilizzare X non significa solo influenzare la narrazione globale, ma anche esporsi a una tracciabilità costante. Ogni accesso, ogni post e ogni comportamento online lascia dietro di sé una potenziale scia di informazioni utili sia per gli avversari politici sia per agenzie di intelligence straniere. Tramite sofisticate tecniche, come la geolocalizzazione degli accessi o la profilazione delle abitudini digitali, è possibile monitorare la posizione fisica del leader o dei suoi collaboratori, aumentando le vulnerabilità in uno scenario di crisi militare. Questo allarme è stato ribadito da osservatori e Stati Uniti, dove figure come l'ex presidente Trump hanno pubblicamente affermato di conoscere la posizione di Khamenei anche attraverso le sue attività digitali. L’assenza fisica del leader dagli eventi pubblici acuisce ulteriormente interrogativi sulla sua salute e sicurezza; la presenza social diventa così anche un modo per mantenere, almeno in apparenza, una leadership forte, benché la mancanza di visibilità fisica alimenti speculazioni su possibili crisi interne o fragilità personali. La guerra delle narrazioni si svolge quindi su due piani: uno reale, fatto di crisi militari e assenza pubblica; uno digitale, fatto di comunicati e linguaggi aggressivi pensati per audiences globali.
Terzo paragrafo
L’ambivalenza delle piattaforme occidentali in questo scenario è evidente: se da un lato X permette anche ai leader sanzionati e sotto embargo di raggiungere milioni di utenti, dall’altro diventa terreno di scontro tra libertà d’espressione e controllo dei contenuti. La necessità di bilanciare propaganda, hate speech e accesso all’informazione espone le stesse compagnie tecnologiche a pressioni senza precedenti, come dimostra il dibattito sulla sospensione o meno dell’account di Khamenei. Intanto, la digitalizzazione della diplomazia iraniana si trasforma in una vera e propria sfida geopolitica: dialogo e confronto internazionale passano sempre più spesso nei feed dei social, con un Iran determinato a consolidare la propria influenza sia presso il pubblico interno sia nel confronto con l’Occidente. Tuttavia, questo processo apre a nuove incognite: maggiore esposizione personale, minacce informatiche, difficoltà a mantenere il controllo della narrazione una volta che il dibattito esce dalla sfera d’influenza statale. In prospettiva futura, la presenza online di Khamenei rappresenta tanto un’opportunità quanto un rischio; il nodo centrale resta la capacità — o meno — di governare la transizione tra diplomazia tradizionale e confronto digitale, in un’epoca in cui anche un tweet può accendere una crisi globale o svelare vulnerabilità prima impensabili.