
Le striature su Marte: il vento, non l’acqua, plasma il Pianeta Rosso secondo un'analisi IA su 86.000 immagini
Le striature su Marte rappresentano un enigma che ha affascinato la comunità scientifica per oltre cinquant'anni, sin dagli anni '70 quando le prime immagini dettagliate delle sonde spaziali rivelarono queste caratteristiche lineari sulle pendici del Pianeta Rosso. Inizialmente si ipotizzava che tali striature fossero causate da colate d'acqua liquida temporanee, suggerendo così la possibile presenza di acqua fluida e condizioni favorevoli alla vita. Questo assunto ha influenzato per decenni la comprensione della geologia marziana e ha orientato le missioni esplorative successive, mantenendo un legame stretto tra le striature e la presenza d'acqua. Tuttavia, uno studio recente pubblicato su Nature Communications ha rivoluzionato questa visione, proponendo un'origine diversa per queste formazioni superficiali. Lo studio è stato condotto da Adomas Valantinas e Valentin Bickel, due esperti planetologi che hanno guidato un team internazionale nell'analisi avanzata delle striature. Utilizzando le tecnologie di intelligenza artificiale più all'avanguardia, il gruppo ha superato i limiti degli studi tradizionali, spesso basati su osservazioni limitate, permettendo un'interpretazione più accurata e dettagliata del fenomeno. Il loro approccio ha permesso di analizzare un'enorme mole di dati visivi provenienti da diverse missioni spaziali, migliorando la nostra comprensione della loro struttura e formazione.
La svolta scientifica principale è derivata dall'analisi di ben 86.000 immagini di Marte, processate con algoritmi di intelligenza artificiale che hanno consentito di identificare e classificare le striature secondo caratteristiche morfologiche, ambientali e temporali, ottenendo così un quadro molto più completo e preciso rispetto al passato. L'uso del deep learning ha permesso di correlare i dati delle immagini con i parametri atmosferici marziani, rivelando che le striature non sono causate dall'acqua ma sono invece il prodotto di forze eoliche e del movimento di piccoli massi e detriti sulla superficie. In particolare, queste tracce si formano e si modificano rapidamente sotto l'azione di venti forti e persistenti, che possono superare i 10 metri al secondo, indicando un processo dinamico e continuo piuttosto che una formazione legata a lunghi periodi di presenza di acqua liquida. Questo ha portato a una significativa rivalutazione della geologia marziana, evidenziando un ruolo molto più importante del vento nella modellazione del paesaggio planetario.
Le implicazioni di questa scoperta sono di vasta portata: la ridotta associazione delle striature con la presenza d'acqua impone una revisione della possibilità che questa sia stata diffusa sulla superficie, almeno per tali fenomeni superficiali. Ciò modifica così anche le aspettative riguardo la ricerca di vita passata o presente su Marte e ridisegna le priorità e le aree di interesse per le missioni scientifiche future. Inoltre, il vento emerge come un agente geomorfologico dominante, capace di plasmare la morfologia marziana significativamente attraverso tempeste di polvere e movimenti di sedimenti. Il dibattito scientifico è ora acceso e coinvolge una pluralità di esperti, mentre le agenzie spaziali pianificano di integrare l'analisi con l'intelligenza artificiale in modo sempre più sistematico per le prossime missioni, come la Mars Sample Return. In definitiva, lo studio di Valantinas e Bickel non solo risolve un rompicapo che durava da decenni, ma segna anche l'inizio di una nuova era della ricerca planetaria, incentrata sull'uso massiccio di big data e IA per esplorare e comprendere i misteri del sistema solare.