Pensione e requisiti in aumento: perché il blocco risulta economicamente insostenibile per il Governo
Il dibattito sull'aumento dei requisiti pensione previsto per il 2027 si concentra sull'impatto delle crescenti aspettative di vita, secondo i dati ISTAT, e sulla sostenibilità economica delle norme vigenti, frutto di riforme come quella Fornero. L'automatismo che adegua età pensionabile e contributi si è temporaneamente fermato durante la pandemia Covid-19, ma tornerà pienamente operativo nel 2027, comportando un aumento medio di almeno tre mensilità contributive rispetto a prima. Tale aumento prelude a un allungamento dell'attività lavorativa, con conseguenze rilevanti per i lavoratori prossimi alla pensione, che dovranno rivedere i loro piani e idee di uscita dal mondo del lavoro.
Il nodo cruciale è rappresentato dagli elevati costi per lo Stato qualora decidesse di bloccare o rallentare questo aumento dei requisiti. Le stime indicano un esborso che parte da 3,3 miliardi di euro per i primi due anni, salendo a 4,7 miliardi nell'anno successivo, cifre che graverebbero pesantemente sui conti pubblici e rischierebbero di compromettere la stabilità finanziaria e gli impegni europei assunti dall'Italia. Pertanto, il Governo Meloni si trova in una posizione difficile, diviso tra esigenze politiche da una parte e rigidi vincoli economici dall'altra, con un margine limitato per interventi strutturali mirati.
Dal confronto emergono alcune alternative, come il congelamento temporaneo dei requisiti o agevolazioni per particolari categorie di lavoratori, ma tutte presentano costi significativi o mancano di consenso politico e finanziario. Nel complesso, la situazione evidenzia la necessità di una riforma più ampia e sostenibile del sistema pensionistico destinata a garantire equilibrio tra equità sociale e sostenibilità economica, evitando soluzioni fragile o emergenziali, proteggendo i lavoratori e assicurando la tenuta del sistema nel lungo termine.