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Alfonso Lovito il Direttore Generale dell'Università Telematica eCampus fornisce il suo punto di vista sulla formazione ai tempi del coronavirus

«Dovessi dare un voto? Tra 6 e mezzo e sette. E le confesso che pensavo peggio». Parola di Alfonso Lovito, direttore generale dell’università telematica eCampus, uno dei principali atenei online d’Italia, con oltre 30.000 iscritti e un numero di corsi di laurea, in continua crescita (oggi è a quota 49). Il voto in questione va alle scuole italiane, alle prese con l’emergenza Coronavirus e l’insegnamento a distanza. «La prima settimana le scuole sono state molto disorientate di fronte all’enormità di quel che andava accadendo, ma già nella seconda settimana hanno iniziato ad aggiustare il tiro ed ora le lezioni a distanza stanno diventando normali per buona parte delle scuole. Anche se poi ogni istituto e ogni insegnante sono a sé: ci sono quelli che in questi anni si sono avvicinati con attenzione e senza pregiudizi all’e-learning e quelli, invece, che non hanno mostrato particolare interesse all’innovazione che le nuove tecnologie possono portare al mondo della scuola».

Lovito, in accordo con il Miur, l’università eCampus ha messo a disposizione a titolo gratuito strumenti e lezioni a supporto della didattica per continuare a seguire in modo regolare il proprio percorso formativo. Un bel riconoscimento?

«Un riconoscimento di cui siamo fieri e orgogliosi. Vede, fare lezioni valide e interessanti è la prima cosa che conta anche nell’insegnamento a distanza ma poi ci vogliono delle technicality , delle competenze specifiche».

Che sono quelle che eCampus ha fatto sue da 14 anni, dalla sua fondazione giusto?

«Esattamente. Da alcuni giorni siano, assieme ad altre università a distanza, presenti sul portale (https://www.istruzione.it/coronavirus/didattica-a-distanza_uni-afam.html) pensato per scuole, insegnanti, studenti e qualunque utente interessato allo strumento e-learning. Si tratta di uno strumento per la consultazione e la fruizione di contenuti formativi di supporto in questo momento storico inedito e delicato. In particolare eCampus propone ai docenti un vademecum per strutturare e organizzare lezioni online, vademecum che si impernia sulle principali fasi della didattica: progettazione, pratica didattica e valutazione. Aprire questa finestra, renderla disponibile a chi nelle scuole vive, lavora e studia per noi è un dovere civico nonché un onore e un privilegio. Anche perché quella che all’inizio poteva sembrare una interruzione breve, un fatto estemporaneo, adesso va verso un allungamento significativo e dotarsi di certe competenze diventa indispensabile».

All’ eCampus si studia online ma poi l’esame o la discussione della tesi si fanno in sede. Anche per voi è scattate la chiusura. Come vi siete organizzati?

«La sede centrale di eCampus è a Novedrate, in provincia di Como. Siamo nella Lombardia flagellata dal coronavirus, ma non ci siamo fermati nemmeno un giorno e continuiamo a garantire il servizio a migliaia di studenti. Il nostro lavoro è principalmente fatto in via telematica, da remoto, quindi nel momento in cui si è verificata questa terribile emergenza sanitaria, avendo già la dotazione strutturale ci siamo organizzati per fare un lavoro che fosse interamente on line. Oggi possiamo tranquillamente svolgere il 100 per cento del nostro lavoro, dunque non solo la didattica ma anche segreteria e servizi agli studenti, da remoto. Prima del coronavirus avevamo diverse attività frontali, c’era anche una attività di tutorial per le persone che sentivano di aver bisogno di essere seguite in maniera particolare nelle nostre sedi. Anche questa attività è stata adesso spostata sulla piattaforma telematica».

Chi sono i vostri studenti? E, soprattutto, sono cambiati in questi anni?

«La sua domanda mi permette di far conoscere all’esterno la nostra realtà e di far piazza pulita di molti luoghi comuni che ci descrivono come le università dei calciatori. Quando le università telematiche sono nate si pensava che fossero indicate solo per studenti adulti che dovessero rimettersi in carreggiata o riqualificare le propria carriera, o, ancora, per persone che avessero delle disabilità tali da non consentirgli di spostarsi in autonomia. Insomma i neo diplomati non erano, così si riteneva, un nostro target. Con il passare degli anni il quadro è cambiato completamente. Abbiamo ancora molti adulti e studenti lavoratori ma a questi si sono aggiunti, nella misura del 25-30 per cento, gli studenti che si immatricolano da noi appena finite le superiori. Abbiamo tremila matricole l’anno. U numero significativo che è la conferma della validità del nostro modello».

Scusi Lovito nell’insegnamento a distanza non c’è il rischio di un filtro, la macchina, tra il docente e l’allievo che in qualche modo mortifica la didattica?

«Questo rischio c’è ovviamente ma per quel che ci riguarda la nostra idea di università telematica è a segno positivo, aggiunge non sottrae, nel senso che introduce ai normali linguaggi e strategie della pratica didattica la dimensione dei nuovi media. L’Università telematica non va, insomma, intesa in senso debole, come se si trattasse soltanto di elaborare e distribuire un più o meno complesso e completo catalogo di programmi televisivi e /o di supporti multimediali, ma piuttosto come un ambiente formativo tecnologico, che realizza soluzioni educative e didattiche autonome, fruibili a distanza, ma integrate ad attività tutoriali e di docenza che si irradiano da un centro unitario, in cui progettazione didattica, ricerca psico-pedagogica, interazione con i destinatari fanno sistema».

Scontato che la didattica on line non si improvvisa, quanto è impegnativa per gli insegnanti?

«Mi permetto di dire che è anche più impegnativa della didattica in classe, perché la didattica online ti costringe a essere schematico, ordinato, perché il tuo materiale è sempre consultabile, è il misuratore ultimo e oggettivo delle tue qualità di docente. Insomma nell’insegnamento telematico è vietato improvvisare, la lezione va preparata sempre e comunque. In una didattica tradizionale ci sono insegnanti che la preparano e altri che improvvisano. Ecco nell’on line questo non è possibile, non è possibile compensare l’assenza di materiale didattico con la sagacia verbale. Quando un vuol fare un buon lavoro nell’online deve forzatamente prepararsi e usare un materiale che sia qualitativamente comprensibile, in maniera abbastanza asettica. Bisogna, quindi, impegnarsi molto. Sicuramente non c’è l’interattività con la classe, l’interscambio con gli altri studenti però questo deficit viene ampiamente compensato dalle altre opportunità che l’insegnamento on line offre».

Si può dire che il coronavirus enfatizza qualcosa che sarebbe comunque diventato attuale fra un paio d’anni, ovvero il passaggio all’insegnamento digitale?

«Gli studenti, su questa strada sono molti più avanti di noi. Gli utenti hanno una dimestichezza molto più alta con gli strumenti informatici rispetto ai loro insegnanti. I giovani non hanno bisogno di adattarsi alle nuove tecnologie, si adattano semmai quando scrivono con la penna! D’altronde, lo ripeto, quello che conta sono i contenuti. Prima c’erano le scritture rupestri, poi la pergamena, poi la stampa, adesso ci sono i computer e gli smartphone, ma vede una cosa rimane costante: la centralità dei contenuti dell’insegnamento. I puristi dell’insegnamento addebitano all’e-learning molte colpe, ma sono ingenerosi. La loro ostilità è puramente ideologica. Non è lo strumento che determina la qualità dell’insegnamento, anzi potremmo arrivare a sostenere che il massimo utilizzo delle nuove tecnologie potrebbe addirittura rendere le valutazioni molto più oggettive di quanto non siano in una classica aula universitaria».

Un’ultima domanda. Lei ci sta decantando le potenzialità delle università telematiche. Ma quanto costano rispetto a una università classica? Sono solo per ceti benestanti?

«Assolutamente no. E’vero, la retta delle università telematiche è più alta ma il costo effettivo dello studio è molto più basso soprattutto per agli studenti fuori sede. Si sottovaluta che la retta universitaria non è il solo costo che le famiglie affrontano e non è nemmeno il più importante. Per studiare bisogna mangiare, spostarsi, e se si studia in un’altra città affittare una casa o una stanza. Una somma complessiva che è decisamente più alta della retta che si paga nelle università online. Glielo dico con profonda convinzione: il tempo tifa per l’e-learning».

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